Grazie ad un trend di domanda sempre più crescente, da qualche mese, Filippo fa parte della squadra Nextip per supportare le attività progettuali relative alla produzione di tecnologie innovative per la comunicazione. Uno dei progetti a lui assegnati riguardano le evolutive del progetto SIMple, una soluzione che ha come obiettivo quello di aiutare le aziende di contact center ad attuare il modello dello smarworking anche definito “lavoro agile”. Per aiutarlo ad essere operativo il prima possibile, abbiamo organizzato una sessione interna per condividere i principi che regolano questo nuovo approccio al lavoro. Data la scarsa diffusione della cultura sullo smartworking in Italia, ho pensato che le risposte alle domande poste da Filippo potessero essere d’aiuto a chi come lui comincia ad approcciare questa strategia che sta già rivoluzionando il modo di fare lavoro di tante aziende.
Iniziamo dalle basi: cosa è il telelavoro?
In termini tecnici il telelavoro è proprio di chi lavora da casa, anche se le sue mansioni richiedono una interazione frequente con altre persone (colleghi, clienti, fornitori) o con dati aziendali. Per esempio, lo scrittore che scrive isolato il suo ultimo romanzo, non è un esempio di telelavoro in quanto le mansioni non richiedono una interazione frequente e regolare con altre persone. Il manager che decide di lavorare il venerdì da casa, effettuando conference call e visionando gli andamenti dei KPI del business sotto la sua responsabilità, tramite accesso in virtual private network ai sistemi aziendali, è invece un tipico esempio di telelavoro. In realtà, in modo forse più completo, è meglio parlare di Smartworking o lavoro Agile, come quel lavoro che, grazie ad opportuni strumenti tecnologici ed organizzativi, è indipendente dalla localizzazione geografica.
Quindi, fin dalla definizione di telelavoro o Smartworking, non si può prescindere dall’uso di opportuni strumenti tecnologici
A rigor di logica no. Infatti, se sono richieste interazioni con altre persone, come minimo una linea telefonica deve essere presente. E comunque il livello di supporto tecnologico dipende dal tipo, la quantità e l’intensità di interazioni con persone o dati.
Qual è la diffusione del fenomeno? In Italia come siamo messi rispetto al resto del mondo?
In Italia la situazione è ben inquadrata dall’Osservatorio del Lavoro Agile del Politecnico di Milano (ott 2016):
– Gli smartworker sono passati dal 5% del totale al 7%
– Il 30% delle Grandi Imprese adotta lo smartworking in modo strutturato (+17% rispetto all’anno precedente); l’11% opera in modalità agile senza progetto sistematico
– Queste cifre si abbassano per le PMI al 5% (nessuna variazione rispetto all’anno precedente); il 13% opera in modalità agile ma in modo non strutturato
Perchè tutta questa differenza fra PMI e grandi imprese?
Sicuramente, nel settore delle PMI, l’Italia sconta un gap di dimensioni. La piccolissima azienda spesso non ha la spinta strategica (prima ancora che finanziarie) per un passo come quello del telelavoro. Si aggiunga che la conduzione padronale è, spesso anche culturalmente, contraria alla cultura della delega e della responsabilizzazione (il lavorare per obiettivi), assolutamente alla base dello smartworking.
E la situazione all’estero qual è?
E’ difficile fare paragoni perchè le situazioni sono diverse e i dati sono disomogenei ma guardando per esempio agli Stati Uniti, Flexbox e Global Workplace Analytics, nel loro “2017 State of Telecommuting in the U.S. Employee Workforce” citano 3,9 Milioni di lavoratori americani che lavorano da casa almeno metà del tempo, pari al 2,9% della workforce.
Un dato inferiore al 7% italiano?
In realtà i dati italiani fanno riferimento a lavoratori che per contratto, consuetudine, possibilità “godono di discrezionalità nella definizione delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati” (fonte Osservatorio del Lavoro Agile del Politecnico di Milano – ott 2016), mentre la ricerca in USA fa riferimento a persone che hanno effettivamente lavorato da casa. Come dicevo prima, i due dati non sono direttamente confrontabili.
Una cosa è certa: tutte le ricerche danno lo smartworking come fenomeno in crescita.
Quali sono, quindi, le motivazioni, i benefici, per le quali un lavoratore trarrebbe vantaggio dal lavorare in modalità agile?
Be’ vi sono una serie di motivazioni immediate, quasi ovvie, ad esempio equilibrare le esigenze familiari con quelle lavorative o risparmiare sugli spostamenti. Altre sono meno scontate e riguardano le motivazioni profonde, le spinte motivazionali che tutti noi abbiamo nel relazionarci al lavoro. Gli psicologi Hackman e Oldham hanno strutturato queste motivazioni nella “Teoria della soddisfazione del Lavoro” (Job characteristics theory) secondo la quale le caratteristiche del lavoro che influenzano la soddisfazione sono: varietà, identità, significatività, autonomia e feedback.
Le ultime due sono quelle maggiormente influenzate dal telelavoro:
– L’autonomia beneficia sicuramente dall’adozione di una politica standard di telelavoro in termini di libertà, indipendenza, flessibilità dell’orario e in generale di senso di fiducia e responsabilizzazione fra datore di lavoro/supervisore e lavoratore remoto
– Il feedback è un fattore da monitorare attentamente perchè, sicuramente, la freschezza e immediatezza di un rapporto diretto non è interamente sostituibile da un dialogo a distanza
E’ anche vero che, per essere efficace, un programma di telelavoro deve essere organico e bilanciato. Ad esempio è sempre preferibile adottare schemi per cui un intero team o una parte consistente di esso ricorre (magari a rotazione) al telelavoro, per evitare eccezioni o situazioni in cui il lavoratore possa sentirsi a torto o a ragione ‘tagliato fuori’ da ‘quello che dicono in ‘ufficio’. Inoltre il mantenimento di momenti ben strutturati e pianificati di confronto di persona (in ufficio o in altri luoghi) è importante sia per fare gruppo che per curare in modo attento e calibrato la dimensione del feed-back prima menzionata.
Insomma come sempre non è solo una questione di quantità ma di qualità dell’interazione, è questo che il messaggio?
E’ proprio così. Ed è questo il motivo per cui i migliori successi fra i lavoratori si ottengono con un approccio strutturato e pianificato e non improvvisato.
Cosa dire invece a proposito dei benefici per le aziende?
Vi sono studi sempre più chiari che il telelavoro, se ben strutturato, porta una serie di benefici estremamente tangibili per le aziende:
– Aumento di produttività; ad esempio in una statistica prodotta Global Workplace Analytics, i lavoratori di JD Edwards che ricorrono al telelavoro sono risultati il 20-25% più produttivi dei colleghi che lavorano in ufficio
– Miglioramento dell’attrattività e della retention dei talenti (si veda l’articolo al seguente link: how work flexibility improves recruiting and retention ) (*)
– Miglioramento del morale dei dipendenti e quindi delle condizioni di lavoro (si veda l’articolo al seguente link: why employees need workplace flexibility ) (**)
– Saving nel settore del facility management: occupazione spazi, infrastruttura, energia; ma tutto questo comporta un discorso lungo ed articolato, ma che può portare a risparmi e leve di flessibilità immediatamente per le aziende
Da dove nasce l’interesse di Nextip per lo smartworking?
Qualche mese fa, durante un affiancamento operativo per la partenza di un nuovo servizio di teleselling per un nostro cliente, c’è stato un accadimento che mi ha molto colpito.
Proprio di fronte alla postazione dove stavo monitorando l’andamento del servizio, sedevano due operatori dalle caratteristiche diagonalmente opposte: Un giovane neo-laureato con tanta voglia di fare ed imparare che nonostante tutta la sua tenacia non riusciva a concludere una vendita; accanto sedeva una giovane mamma che con il suo carisma e la sua esperienza riusciva a coinvolgere attivamente il cliente e raggiungere l’obiettivo di vendita. Era quasi una certezza matematica: una chiamata, un contratto concluso; proprio come diceva Shakespeare: “L’esperienza è un gioiello”.
Qualche giorno dopo durante una sessione di follow-up, seduto nella medesima postazione, notai che la postazione della donna era vuota: il responsabile di commessa mi confidò che la donna aveva dovuto improvvisamente abbandonare il suo lavoro a causa di motivi familiari che non le permettevano di allontanarsi troppo da casa (la donna viveva a circa 40Km dalla sede lavorativa).
Questo avvenimento, poi condiviso in azienda al nostro amministratore, ci portò alla spontanea conclusione che non fosse ammissibile, ai giorni d’oggi, perdere risorse così valide per via della distanza dalla sede operativa e dalla impossibilità a raggiungerla.
Con l’aiuto ed il feedback dei nostri clienti, abbiamo quindi deciso di investire le nostre conoscenza tecnologie per creare un prodotto che permettesse di rendere “smart” e flessibile il lavoro nei call-center ed in tutte quelle aziende che fanno della comunicazione strutturata verso i loro clienti il loro cuore pulsante.
(*) Fonte: http://www.workflexibility.org.
(**) Fonte: http://workplaceflexibility.bc.edu