Continuiamo il nostro viaggio all’interno dello smart working intervistando Katia e Michele, due amici del blog, che hanno realizzato il sogno della loro vita trasferendosi dalla città nell’Eifel, una zona rurale della Germania dove vivono a contatto con una splendida natura e dove hanno conciliato il loro lavoro con una attività di produzione del miele. Come capiremo dall’intervista questo è stato possibile grazie allo smart working.

Katia, Michele, raccontateci la vostra storia umana e professionale

Michele) Ho conosciuto Katja, che oggi è mia moglie, a Torino. In quel periodo lavoravo per una azienda di consulenza informatica presso un cliente a Milano. La mia mansione richiedeva di viaggiare tutti i giorni da Torino a Milano anche quando non era indispensabile. Il mio capo, ai tempi, mi diceva “Il cliente ci paga perché tu stia lì, che tu sia impegnato o meno”.

Mi è sempre sembrato un approccio assurdo. A me piace lavorare per obiettivi e non scaldare la sedia. E’ in quel momento che forse, ho cominciato a maturare la mia filosofia sul lavoro a distanza.

Katja) In quel periodo lavoravo in uno studio di architettura a Torino. Poi mi sono trasferita presso una azienda di Colonia dove sono diventata progettista di illuminazione per supermercati. Michele mi ha raggiunto dopo qualche tempo a Colonia.

“ … a me piace lavorare per obiettivi, non scaldare la sedia.”

E a Colonia cosa è successo?

  • K) Michele ha trovato lavoro dopo poco tempo come Senior System Administrator in una società internazionale di eCommerce ed io sono in seguito diventata Abteilungsleiterin (capo reparto) dell’ufficio di progettazione.
  • M) All’inizio l’integrazione in una nuova realtà è stata stimolante per noi. Però con il tempo la vita di città ha iniziato a non darci più abbastanza …..
  • K) … a noi piace il contatto con la natura, le montagne o almeno … le colline, la vita di città non faceva più per noi.

Era giunto il momento di un ulteriore cambiamento?

  • M) Infatti. Già da tempo eravamo interessati al mondo della produzione agricola e dell’allevamento e ci siamo avvicinati all’apicoltura amatoriale.
  • K) Dapprima abbiamo acquistato due arnie che abbiamo dato in custodia ad un contadino nell’immediato hinterland di Colonia ma sentivamo l’esigenza di una scelta più radicale, più definitiva …

Insomma una scelta di vita

  • K) In una delle nostre gite nell’Eifel, una splendida zona collinare della Germania, ai confini con il Belgio, abbiamo trovato un casolare da ristrutturare.
  • M) Abbiamo pensato di prendere due piccioni con una fava: vivere nella natura (per noi la prima motivazione) e trovare un posto per le nostre arnie che fosse vicino (in giardino !) a dove vivevamo e che permettesse di seguire le api con maggiore facilità.

Come ha influito lo smart working in questo progetto

  • M) Devo dire che senza lo smart working non sarebbe stato possibile fare questo percorso di vita. Come dicevo prima, sono molto sensibile al tema del pendolarismo dal periodo in cui lavoravo in Italia. Devo dire che la situazione, almeno a Colonia, è stata per noi addirittura peggiore che quando ero pendolare fra Torino e Milano. Durante la ristrutturazione del casolare dovevamo percorrere varie volte alla settimana la tratta Eifel – Colonia, che sono 80 Km. In teoria 45 minuti di auto, ma spesso anche due ore o più. Colonia è una città la cui mobilità è basata sui ponti. Solo sette ponti attraversano il Reno e la maggior parte dei pendolari (che vengono dalla zona ovest) devono passare da uno di questi sette varchi. Caso ha voluto che due di questi varchi siano da tempo inaccessibili o a capacità ridotta (e lo saranno ancora per molto tempo) e questo ha creato tantissimi ingorghi e notevoli disagi.
  • K) Anche per me dopo che ci siamo trasferiti nell’Eifel, il viaggio quotidiano è diventato veramente insostenibile. Significa perdere 3 ore della propria vita tutti i giorni. Questo, abbinato anche a ritmi molto intensi sul lavoro, hanno portato una situazione di stress che, in un qualche modo, sto superando solo in questo momento.
“Devo dire che senza lo smart working non sarebbe stato possibile fare questo percorso imprenditoriale e di vita”

Intuisco dalle vostre parole che inizialmente le vostre aziende non vi hanno dato la possibilità di lavorare da casa

  • K) La mia, nel momento in cui più ne avevo bisogno, mi ha detto che in quanto responsabile dovevo essere presente per coordinare il lavoro delle persone. Ora però stanno cambiando idea. So di diverse persone che lavorano a Colonia in varie aziende e sono dimissionarie (o minacciano di esserlo) perché la situazione è insostenibile e il pendolarismo con due ore per andare e due per tornare diventa impossibile. In questo momento anche la mia azienda sta ripensando allo smart working (magari parziale) come leva di retention. Tanto più che la Germania è flessibile da un punto di vista contrattuale ed esistono pochi vincoli di negoziazione collettiva. In altri termini: salario, condizioni e anche modalità di lavoro (fra cui la modalità smart) possono essere negoziate e accordate singolarmente, caso per caso, senza costituire necessariamente un precedente nei confronti di tutti i lavoratori.
  • M) Anche la mia azienda all’inizio era contraria. Poi ha cambiato idea e ora io lavoro a tempo pieno da remoto. E’ dai primi di febbraio che non vado in ufficio !! E’ stato l’unico modo per potere realizzare il nostro progetto di vita senza rinunciare alla sicurezza del lavoro dipendente.

Katja ha un impegno e ci lascia, continuiamo l’intervista solo con Michele.

Michele, quindi tu non vai in ufficio da febbraio pur lavorando tutti i giorni …

Michele) Esatto: il mio impegno per l’azienda non è cambiato. Lavoro con internet, VPN (Virtual Private Network) e telefono quando serve. Mi organizzo il lavoro in modo che sia compatibile con l’impegno dell’attività di apicoltore. Tra l’altro, una volta che ci siamo trasferiti sul posto, ci siamo resi conto di una richiesta (ancora non ben presidiata) di ricettività da parte dei turisti.  Rispondere questa richiesta ben poteva coniugarsi con i nostri sogni (a me sarebbe sempre piaciuto gestire un rifugio per camminatori e Katja ha sempre sognato di gestire un Cafè). Abbiamo quindi avviato una attività di B&B nei locali del nostro casolare. In questo modo lo smartworking ci dà la possibilità, oltre che di curare le api (cosa che teoricamente sarebbe stata possibile anche se scomoda restando a vivere a Colonia), anche di usare il tempo ‘liberato’ dagli spostamenti per fare una cosa bella per noi e utile per la collettività.

Spiegaci meglio le tue mansioni nell’azienda e come lo smartworking si adatta ad esse …

Di fatto per l’azienda di cui sono dipendente svolgo due tipi di attività:

– attività tipiche sistemistiche (configurazione, dimensionamento, monitoraggio, interventi, etc.)

– progetti di sviluppo a supporto del controllo dell’infrastruttura

Entrambe le attività si adattano benissimo ad una modalità remota.

Per la prima capisco, ma per la seconda ? Non devi interagire con altre persone? Non rischia di essere inefficace se si è in location diverse?

  • M) No. Anche per i progetti ben si adatta. Pensa a questo. Il mio team nella sede di Colonia è costituito da due persone: il mio capo e me. Tutti gli altri project team members sono già sparsi per il mondo …

Insomma stiamo a discutere di smart working sì smart working no, ma, per loro natura, per la globalizzazione, il grosso delle attività che facciamo tutti i giorni sono già da remoto …

  • M) Sono remoti i clienti, sono remoti gli utenti, sono remoti gli sviluppatori, i sistemisti, etc… che differenza fa se lavoro da casa se comunque anche in ufficio passerei la maggior parte del mio tempo lavorativo in conference con gli Stati Uniti a lavorare su server in un altro continente o a parlare con colleghi che sono dall’altra parte del mondo?

Be, magari per fare gruppo con i colleghi: lo spirito di team è importante

  • M) E’ vero ma in Germania – almeno nella mia azienda – c’è una concezione molto diversa da quella italiana. La gente lavora concentrata e nel massimo dell’efficienza per restare il meno possibile in ufficio. Pur nella normale cortesia dei rapporti lavorativi, i colleghi non cercano una vicinanza che vada oltre le normali interazioni (riunioni, telefonate, etc). Si mangia soli. Ci si porta la tazza da casa e il caffè non si prende tutti insieme alla macchinetta o al bar, ma si sorseggia di fronte al PC.

E quindi, come è proceduto il filone dello smart working nella tua azienda?

  • M) Come dicevo, all’inizio erano contrari. Poi piano piano hanno cambiato idea.
“… sono remoti i clienti, gli utenti, gli sviluppatori … che differenza fa se lavoro da casa ”

Anche qui esigenze di retention come per l’azienda di tua moglie?

  • M) Nel mio caso devo dire che il mio capo ed io siamo riusciti ad imporre, o meglio a proporre, questa modalità basandoci esclusivamente sulla qualità del nostro lavoro. Siamo entrambi convinti sostenitori che questa modalità di lavoro migliori le performance dei lavoratori ed elimini le difficoltà, invece che crearle.

In che senso?

  • M) Lavoro da casa, sono più felice, la qualità del mio lavoro ne risente positivamente. E anche l’azienda se ne è accorta. E per questo ha accordato solo al mio capo e a me la possibilità di lavorare da casa. Devo dire che proprio la componente del mio lavoro che apparentemente, a prima vista, meno si adattava ad una modalità smart (la parte progettuale) è stata quella che, grazie agli ottimi risultati, ci ha permesso, a me e al mio capo, di vincere questa battaglia.

Spiegaci meglio come è andata

  • M) In pratica la parte tedesca del dipartimento gestito dal mio capo è stata smantellata, le persone sono state licenziate. Siamo rimasti solo io e il mio capo e abbiamo deciso di autogestirci. L’azienda ce l’ha gradualmente permesso perché ha visto che le performance non peggioravano, anzi miglioravano.

Possiamo quindi dire che il lavoro a distanza è stato per te anche una chiave per mantenere il tuo posto?

  • M) In un certo senso sì. Migliorando le performance e la qualità del nostro lavoro siamo riusciti ad ottenere due risultati: essere più felici e soddisfatti noi e consolidare la nostra immagine in azienda mettendoci in un qualche modo al riparo da possibili turbolenze.
“… lavoro da casa, sono più felice, la qualità del mio lavoro ne risente positivamente …”

Raccontaci del rapporto con il tuo capo

  • M) E’ una bella storia. All’inizio non ci capivamo. Non lo capivo proprio. Ho pensato: “Non conosco ancora bene la lingua: è colpa mia.”. Poi ho chiesto in giro. Neanche i tedeschi lo capivano. Ho pensato: una persona con problemi di comunicazione, geniale, brillante a suo modo, ma con una sorta di barriera.

Come una sorta di sindrome di Asperger? Quella condizione di chi, pur geniale, intelligentissimo e capace, ha difficoltà nelle relazioni sociali

  • M) Qualcosa del genere.

Che strana storia: bella e paradossale! E’ particolare che proprio chi ha difficoltà nelle interazioni si faccia artefice di una modalità di lavoro il cui presupposto sta proprio nella buona comunicazione

  • M) In realtà la buona riuscita di questo tipo di progetto è basata su una forte disciplina, anzi su un forte senso di responsabilità. E sulla fiducia reciproca. Si riconosce la libertà alla persona di lavorare come e quando vuole perché ci si fida del suo senso di responsabilità e si settano gli obiettivi, controllando esclusivamente i risultati e non come ci si arriva.

Sembra facile, perché allora le aziende sembrano ancora, talvolta, restie ad adottare queste modalità? Paura di perdere il controllo?

  • M) Più che altro, talvolta, incapacità di controllo. Oppure, ancora peggio: disinteresse al controllo dei risultati. Per questo poi ci si focalizza sugli aspetti formali e non sostanziali. Del tipo: “devi essere presente, poi quello che fai non mi importa” o “Il cliente ci paga perché tu sia lì, che tu sia impegnato o meno.”. Questa filosofia è la tomba dell’efficienza lavorativa e la culla della demotivazione.

Insomma, lo smart working potrebbe essere visto addirittura come un nuovo paradigma lavorativo dove orientamento al risultato, lavoro per obiettivi, fiducia reciproca e senso responsabilità non sono più semplici parole da Manuale dell’HR, ma ingredienti indispensabili senza i quali non si va avanti …

  • M) Forse! Per me, per noi, sicuramente ha rappresentato e rappresenta tuttora il modo in cui abbiamo potuto seguire le nostre passioni e grazie al quale abbiamo potuto dedicare più tempo e più qualità alla coppia ed avvicinarci alla natura. Ha inoltre rappresentato una chiave di miglioramento della mia soddisfazione professionale e della mia sicurezza lavorativa. Anche la qualità del mio lavoro è aumentata e il rapporto con il mio capo ne ha risentito positivamente.

Grazie Michele e ringrazia Katja da parte nostra.

NdR. Intervista eseguita in modalità smart (via Skype J)

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Giuseppe Arduino

Informatico per natura (e cognome), ingegnere per studio e commerciale per vocazione, aiuto le aziende a concentrarsi sul proprio business attraverso la filiera tecnologica Nextip e le soluzioni di smartworking dedicate al mondo dei contact center. Ogni settimana condivido risorse e webinar sul nostro canale Telegram: Nextip2010